Vivre sa Vie di Jean-Luc Godard: una lettura filologica dell’aspetto sonoro

VIVRE SA VIE – una lettura filologica dell’aspetto sonoro

1. Una lettura filologica: presupposti

Il concetto di filologia comporta un lavoro di ricostruzione anche nel processo creativo di quel testo: ciò implica necessariamente l’estensione dell’indagine alle ragioni storiche, sociali, culturali che esso esprime .

Per capire in che senso, in questa ricerca, si possa parlare di lettura filologica, partirò dall’etimo della parola Filologia.
Filologia è un termine la cui etimologia deriva dal vocabolo greco φιλòλογος, composto da φίλος “amante, amico” e λόγος “parola, discorso”: la parola quindi esprime il concetto di “amore per la parola, cura del discorso”.
Il termine era già in uso, anche se non frequente, nell’Antichità romana, dove ‘philologia’ indica l’amore per gli studi letterari e linguistici e per l’erudizione. Talora viene utilizzato anche per indicare l’interpretazione degli scrittori, come studio, esegesi. Con ‘philologus’ si indica chi è fornito di cognizioni d’Antichità, storiche, linguistiche e letterarie e interpreta le opere degli altri scrittori .
Secondo l’accezione comune attuale, al centro dell’interesse del filologo e della filologia c’è il testo ed il problema della sua autenticità : per filologia, cioè, s’intende quell’ insieme di discipline che studia i testi letterari al fine della ricostruzione della loro forma originaria attraverso l’analisi critica e comparativa delle fonti che li testimoniano, e con lo scopo di pervenire, mediante varie metodologie di indagine, ad una interpretazione che sia la più corretta possibile .

In che senso allora, nell’ambito di questa ricerca, si potrà parlare di filologia musicale?

E’ necessario, introdurre un brevissimo excursus che mostri in pillole quali riflessioni abbia suscitato il concetto di filologia musicale, fino a portarlo al suo stato attuale (al quale farò riferimento nella mia analisi dell’aspetto sonoro del film di Godard, Vivre sa vie). Mi pare doveroso partire dalle parole del musicologo Karl Gustav Fellerer (1956), il quale definiva il concetto di Filologia dalla prospettiva della musicologia moderna: “Lo studio e l’edizione delle fonti (monumenti, opera omnia) costituiva [nell’Ottocento], insieme all’inquadramento storico – culturale della musica, il compito primario. A questi studi musicali ‘filologici’, al cui centro vi era la tradizione scritta della musica, la musicologia moderna contrappone lo studio della musica come fenomeno sonoro, e quello della sua posizione nella vita dell’umanità. ” Il concetto di Filologia Musicale, secondo Fellerer, andava ampliato, superando il confine classico che lo arginava nella ricerca dell’autenticità del pezzo attraverso lo studio della notazione scritta.
Va ampliato!! Cos’è la filologia musicale—arrivando alla concezione di Morelli ..
Anche Georg Feder, qualche decade dopo, nel suo manuale di filologia musicale fa riferimento al concetto di filologia musicale, inteso come studio delle fonti e critica del testo, distinguendone il raggio d’azione dall’interpretazione teorica delle opere, e mostrandoci come il proprio oggetto di studio sia andato con il tempo allargandosi fino a comprendere, accanto alla critica, l’ermeneutica: “ nella musica avremo come nucleo lo studio primario delle fonti e della notazione (ortografia e paleografia musicali), attorno al quale si dispone la critica del testo, seguita dall’interpretazione teorica del testo e dell’opera (ermeneutica)” .

1.1. Quali fonti?
Dalla notazione al documento sonoro.

Gli strumenti elettronici consentono al compositore di ‘scrivere’ direttamente il suono, anzichè prescriverlo sul medium cartaceo […]

L’oggetto di studio della filologia musicale pare essersi allargato ancora, superando la concezione di Feder per arrivare a comprendere, come oggetto principale della propria analisi, oltre al testo musicale, anche il documento sonoro. In pratica si tratta di un ulteriore ampliamento di campo rispetto alla visione di Feder, il quale, nel 1987 nel suo manuale di filologia musicale, mettendo il testo musicale al centro dell’attenzione della disciplina filologica, ancora stenta a dare al documento sonoro il valore oggi ormai riconosciutogli .
La concezione che individuava nel testo musicale il principale oggetto passibile di studio da parte del filologo musicale è andata piano piano cadendo: riconoscendo la natura della musica nel proprio carattere esecutivo ( e quindi suscettibile di variazione rispetto al testo scritto- per interpretazione che non necessariamente resta fedele alla notazione scritta – ) la notazione musicale attualmente non è più considerata l’unica fonte utile per lo studio di un pezzo musicale: l’oggetto di studio, così, si è allargato andando a comprendere il concetto più generale di documento sonoro .
Il concetto di documento sonoro implica una nuova idea di scrittura musicale non necessariamente legata alla notazione cartacea (cioè, ad una fase di pre-scrittura del pezzo musicale), ma aperta al modo di post-scrivere inaugurato dal fonografo di Edison, che concepisce la registrazione come forma di scrittura musicale.
I contributi teorici che si occupano dei repertori musicali espressi direttamente su documenti sonori sono concordi – pur ognuno nella sua specificita` – nel considerarli frutto di un sistema di scrittura (e quindi di lettura): “[… A]ll’interno della produzione di uno stesso autore, alle opere realizzate e fissate sulla carta (prescritte) se ne affiancano altre che utilizzano nuove tecnologie di ‘scrittura’ del suono (su supporti quali il nastro magnetico o la memoria, ad es.) che talvolta possono escludere qualsiasi traccia che non sia prettamente acustica e per le quali l’unico testo analizzabile è quello sonoro ”.
Filologia musicale sarebbe allora quella Filologia che si occupa di risalire alle origini di un “documento sonoro” .
E “trovare le origini del documento sonoro” è un concetto che non può prescindere da una contestualizzazione dello stesso che tenga conto ( in una prospettiva già aperta da Fellerer) più in generale del fenomeno sonoro cui appartiene. Analizzare il documento sonoro è impossibile senza analizzarlo come fenomeno sonoro risalendo, come il prof. Morelli ci suggeriva, al Gesto musicale: a quell’attimo in cui nel nostro cervello nasce la musica.
La lettura filologica che proporrò in questa mia analisi dell’aspetto sonoro di Vivre sa Vie terrà in considerazione il materiale sonoro a partire dalla registrazione. Il documento sonoro che prenderò in esame, cioè, sarà la cosiddetta colonna sonora ed il fenomeno sonoro il film nella sua integrità di opera in cui livello audio e video non sono separabili.

2. Aspetto sonoro ed aspetto visivo

L’immagine è il ‘grado zero’ del linguaggio visivo, così come il suono lo è per la musica .

2.1 Audio e video: due parti di un unicum

Una volta trasferita nel cinema, la musica viene sottoposta ad un processo di semantizzazione; proprio in virtù del fatto che il radicamento nel significato è esibito dal mezzo stesso, lo studio della musica nel film è stato riconosciuto da alcuni musicologi come un campo di esercitazione delle pratiche ermeneutiche .

Da un punto di vista multimediale , il rapporto tra immagine e musica appare come uno dei numerosi rimandi possibili tra le varie componenti in gioco. La musica è un aspetto, importante ma specifico, di un complesso più ampio che nel cinema si chiama colonna sonora e che qui designerò semplicemente con il termine ‘suono’ . Con l’affermarsi della cinematografia, che rappresenta il punto di riferimento privilegiato di una teoria dell’arte multimediale, l’immagine è primariamente fissata, manipolata e conservata mediante strumenti elettronici; l’insieme di tecniche e procedimenti, che presiedono alla sua messa in opera, viene impiegato anche per il suono. Le due dimensioni sono dunque correlate grazie all’analogia (e in certi momenti identità) dei procedimenti tecnici con cui vengono trattate .
Nel proporre una teoria del significato contestuale della musica – che però perde forza appena si allontana dalla sfera multimediale – Cook ha avuto il merito di alleggerire chi analizza testi audiovisivi dal peso di una vana ricerca del significato originario della musica: la volontà del compositore, l’interpretazione dei primi ascoltatori o di quelli più competenti, una fondazione ontologica dei segni musicali e così via.
Prima di inserirsi nella trama audiovisiva, la musica viene estratta dal suo contesto originario e dunque parzialmente alienata dal suo significato; quando viene inserita nella trama, essa comincia a operare trasformazioni semantiche. Questo vale anche per la musica appositamente scritta in vista della produzione multimediale; l’intenzione di chi compone, e talvolta partecipa al progetto estetico nel suo insieme, rappresenta l’impulso iniziale di una catena di trasformazioni che si determinano in modo puntuale nella tangenza degli elementi . Per questo motivo, e nello specifico per il carattere peculiare dell’aspetto sonoro di Vivre sa vie, partirò da un’analisi che consideri inseparabili traccia audio e video, intrecciate e saldate nel testo filmico in questione.

3. Vivre sa vie, film en douze tableaux

[…] estraendo le inquadrature in questo modo [con il piano-sequenza] si fa a meno del montaggio. Basta metterle una dopo l’altra. I tecnici che hanno visto la proiezione dei “giornalieri” hanno visto più o meno quello che ha visto il pubblico. Inoltre ho girato le scene nell’ordine. Non c’è stato neppure missaggio. Il film è una serie di blocchi. Basta prendere le pietre e metterle una accanto all’altra. Tutto sta nel prendere al primo colpo la pietra giusta. L’ideale per me sarebbe di ottenere subito quel che serve, senza ritocchi. Se ce n’è bisogno vuol dire che il film è sbagliato. L’immediato è il caso. E nello stesso tempo è definitivo. Quello che voglio è il definitivo per caso .

3.1 L’oggetto dell’analisi

La scelta di condurre un’analisi filologica del film Vivre sa vie: film en duoze tableaux nasce dalla natura rivoluzionaria e sperimentale dell’opera stessa : la concezione da cui partì Godard (che va a confermare la necessità di tenere da conto il presupposto di inseparabilità dei due aspetti visivo e sonoro di cui si è parlato nel paragrafo precedente) era quella di rendere immagini e suono il più possibile vicine alla realtà , servendosi di un sistema di ripresa che rendesse necessario il minor lavoro di post-produzione possibile (sia per il versante audio che video).
Dal punto di vista del montaggio il film, infatti, è costruito attraverso la successione delle sequenze, che vengono semplicemente giustapposte: questa tecnica viene esplicitata dalla suddivisione delle sequenze in dodici blocchi tematici detti “tableaux”, suddivisi tra loro da uno stacco ed introdotti ciascuno da un titolo che ne descrive il contenuto . Il montaggio per giustapposizione rispecchia la volontà del regista di elaborare il meno possibile il materiale video, sempre in un’ottica di avvicinamento alla vita reale.
Per le riprese audio , per le quali fu utilizzato un registratore sincrono portatile a nastro magnetico della varietà Perfectone , la necessità di registrare sia parole che suoni d’ambiente in luoghi particolarmente riverberanti (Bistrot, strade e così via) rese necessari l’utilizzo di microfoni direzionali, ognuno utilizzato per una funzione specifica . Nelle migliori condizioni, le registrazioni audio furono fatte con diversi microfoni ed il mixaggio venne effettuato più o meno durante le riprese: durante il dialogo di Nana con Brice Parain, ad esempio, ogni persona che parla ha un microfono. In altri casi ( come ad esempio nella sequenza d’apertura al Bistrot) le riprese audio sono evidentemente state fatte con un singolo microfono, infatti il livello dei suoni d’ambiente risulta così particolarmente alto .
Anche per l’aspetto sonoro, dunque, il regista predilige il lavoro a caldo, durante le riprese. L’unico versante in cui, dal punto di vista sonoro, vi è un intervento forte in fase di postproduzione è quello musicale , attraverso il montaggio del Leitmotiv composto da Michel Legrand, che analizzeremo più avanti.

3.2 Sequenza d’apertura – ascoltare prima di vedere

TABLEAU 1: Un Bistrot – Nana veut abbandoner Paul – L’appareil a sous
La sequenza introduttiva mostra il dialogo in cui Nana lascia il padre di suo figlio, Paul , in 6 inquadrature.
Le inquadrature, che si susseguono l’una dopo l’altra attraverso stacchi di montaggio, mostrano alternatamente la testa di Nana e quella di Paul riprese entrambe di spalle con, sullo sfondo, il bancone del Bistrot. Noi, in quanto spettatori, possiamo intravvedere i volti dei due personaggi soltanto attraverso lo specchio situato sul muro dietro il bancone.
Questo modo di veicolare visivamente il dialogo tra i personaggi è un esperimento formale che rompe con lo schema classico del dialogo, effettuato normalmente in un’alternanza tra campo e contocampo che mostrava i volti dei due o più personaggi in scena. In questa sequenza, così, lo spettatore viene a conoscenza dei due personaggi prima attraverso le loro voci.
Tutti gli elementi essenziali della tecnica di Godard sono presenti nella sequenza dei titoli di testa e nel primo episodio. I titoli di testa passano su un’immagine di Nana, vista da sinistra, talmente buia da essere quasi una sagoma. (IL titolo completo del film è: Vivre sa vie. Un film en douze tableaux). Man mano che i titoli proseguono, la si vede di fronte, e poi da destra, sempre in quest’ombra profonda. Ogni tanto batte le ciglia, sposta leggermente il capo (come se il restare immobile così a lungo le desse fastidio) o s’inumidisce le labbra. Nana è in posa. Sa di essere vista. Poi abbiamo la prima didascalia: “Primo episodio. Nana e Paul. Nana ha voglia di farla finita”. A questo punto cominciano le immagini, ma l’accento è posto su ciò che udiamo. Il film vero e proprio si apre nel pieno di una conversazione tra Nana e un uomo; sono seduti al banco di un caffè e volgono le spalle alla macchina; oltre al colloquio, udiamo i rumori del barista e frammenti di discorsi di altri avventori. Mentre parlano, sempre senza guardare la macchina, apprendiamo che l’uomo (Paul) è il marito di Nana, che hanno un bambino e che lei ha recentemente lasciato marito e figlio per cercare di diventare un’attrice. In questo breve incontro in pubblico (non è mai precisato di chi sia stata l’iniziativa), Paul è freddo e ostile, ma la vuole di nuovo con sé; Nana è depressa, disperata e disgustata di lui. Dopo alcune frasi stanche e amareggiate, osserva: “Più parli e meno dici”. In tutta questa sequenza, Godard esclude sistematicamente lo spettatore. Non c’è passaggio dal campo al controcampo. Non si permette allo spettatore di vedere, di partecipare. Gli si permette soltanto di ascoltare .

A questo punto è possibile tracciare un parallelo tra audio e video notando come l’esperimento formale coesista su tutte e due i versanti: sul piano audio innanzitutto si tratta di un sonoro a presa diretta, in cui, come già accennavo nel paragrafo precedente, le riprese sono state eseguite con un solo microfono ambientale, il che è chiaramente percepibile dallo spettatore poiché il suono ambientale ( sarebbe a dire il “rumore” del bistrot) appare particolarmente amalgamato a quello delle voci dei due personaggi. A livello sonoro, Nana e Paul, in primo piano, parlano tra di loro mentre, volendo continuare con la metafora visiva, in profondità di campo vi è il sonoro del bar, tutto in unico volume sonoro.
L’ assenza di una fase di montaggio in fase di post produzione viene rimarcata ed accentuata in diversi momenti del dialogo, in cui, pur in presenza di un cambiamento di inquadratura, una stessa frase viene ripetuta più volte dallo stesso personaggio, quasi andando a svelare la propria origine di girato, attraverso quelle lievi differenze nella ripetizione che caratterizzavano, in fase di ripresa, i diversi shots .
Un altro momento in cui risalta l’utilizzo di un unico microfono ambientale, poichè anche qui il livello dei rumori della strada è particolarmente simile a quello delle parole dei personaggi, è la scena di chiusura che comprende la sparatoria e l’uccisione di Nana .
La scena ha inizio a 01. 20’.17” con un’ inquadratura su una strada vuota: prima che l’auto entri in campo arriva l’audio del suo motore a scoppio; durante tutta la scena che segue, quella dello vendita di Nana, l’audio ambientale (i rumori di strada ed auto che passano) va quasi a sovrastare le parole dei personaggi. Soltanto con il primo sparo (che,tra l’altro, segue uno sparo “silenzioso” ) s’interrompe l’atmosfera sonora della strada creandosi una priorità nel rumore della pistola che va a staccarsi dallo sfondo, creando uno stacco sonoro netto che preannuncia l’imminente morte di Nana e quindi la fine del film.

4.Aspetto musicale

4.1 Musica diegetica e musica extradiegetica

Per introdurre i termini di riferimento del nostro discorso è necessario partire dal concetto di diegesi utilizzato da Christian Metz negli studi di semiotica del cinema. La nozione di diegesi cui fa riferimento Metz è presa in prestito (così altri prima di lui, da Étienne Souriau a Gérard Genette) dalla tradizione greca classica del commento letterario. Con il termine diegesi Aristotele si riferiva al modo di rappresentazione che implica il “raccontare” piuttosto che il “mostrare” . Il termine in questione indica, quindi,
gli eventi e i personaggi collocati in un racconto, cioè il significato del contenuto narrativo, i personaggi e le azioni considerati “per se stessi”, senza riferimento alla mediazione discorsiva…
Nel cinema la parola “diegesi” indica l’istanza rappresentata del film, l’insieme della denotazione, cioè il racconto stesso più le dimensioni spazio-temporali della finzione implicate nel e dal racconto (personaggi, ambienti, eventi, ecc.). Diegesi è anche la storia, quale è ricevuta e percepita dallo spettatore…è una costruzione immaginaria: lo spazio e il tempo funzionali in cui il film opera, l’universo presupposto in cui si svolge il racconto .
Gli eventi diegetici, dunque, sono quelli che avvengono nel mondo della storia.

Si potrà parlare, oltre che di eventi, anche di sonorità diegetiche ( cioè attribuibili al mondo della storia) ed extradiegetiche, o non-diegetiche (cioè non attribuibili al mondo della storia).
Bordwell e Thompson individuano una dicotomia alla base della distinzione tra suono diegetico e suono non diegetico : alla prima tipologia appartengono i suoni la cui fonte è situata nel mondo della storia, come, ad esempio, i dialoghi e le parole pronunciate dai personaggi, i rumori e i suoni provenienti da oggetti e strumenti situati nello spazio della storia; alla seconda tipologia appartengono i suoni provenienti dal di fuori della storia, come la musica di accompagnamento .
Godard utilizza entrambe le tipologie di sonorità in Vivre sa Vie.
All’interno del film, mentre abbondano le sonorità di tipo diegetico ( il swing che esce dal juke-box, la radio di sfondo nel negozio di dischi in cui lavora Nana, la Chanson nel Bistrot durante l’incontro tra Nana ed Yvette), l’unica sonorità di tipo extradiegetico è il motivo musicale ( strumentale) che accompagna, tornando periodicamente, le vicende di Nana dall’apertura alla chiusura del film. Quest’ultimo, per le proprie caratteristiche, può essere definito Leitmotiv .

4.2 Juke-Box e Leitmotiv: due poli della sonorità

I due poli di sonorità che abbiamo tracciato ( diegetico ed extradiegetico) sono ben rappresentati, in Vivre sa vie, da due episodi sonori : l’episodio del juke-box ed il Leitmotiv.
La sequenza del juke-box è inserita nella più ampia sequenza della sala da biliardo dove si trovano Nana e Raoul assieme ad altri due personaggi. Dal punto di vista acustico vi è da notare un aspetto interessante: alle riprese ambientali appartiene, infatti, uno Swing suonato dal juke-box presente i scena, in cui Nana ha inserito la moneta. Qui avviene qualcosa di straordinario: Godard, coerente alle premesse di mantenersi il più possibile vicino alla realtà non ha montato il pezzo audio in questione direttamente sulla colonna sonora “facendoci credere” che la propria fonte sonora fosse il juke-box, ma ha utilizzato delle riprese effettivamente registrate da un juke-box nel bar: quello che noi ascoltiamo, quindi, non solo è l’audio di un juke-Box, ma proprio di quel juke-box che le immagini ci stanno mostrando.
E’ un esempio, questo, di sonorità diegetica fedele alla fonte: per questo, quindi, sarebbe possibile parlare di quel pezzo audio come di documento sonoro.
Il carattere chiaramente diegetico del suono in questione va, però, sfumando sul finale: il pezzo Swing, infatti, continua anche quando la sequenza della danza di Nana è finita . Il suono, così, ha la funzione di inglobamento unificante, che supera, cioè, i limiti temporali e spaziali dei piani visivi e va a raccordare la scena dello Swing con la schermata introduttiva del Tableau successivo . E’ così che Godard sfida le convenzioni, le sovverte, perché ci confonde creando ambiguità tra i confini delle categorie dello spazio diegetico e di quello non diegetico . L’effetto è di confusione, spaesamento, perché siamo di fronte ad un’ambiguità che poi riusciamo a chiarire e risolvere .
Nel caso del Leitmotiv, invece, vi è una netta negazione di appartenenza al mondo diegetico del film. Il pezzo musicale, composto da Michel Legrand, è un motivo strumentale che torna periodicamente a partire dai titoli di testa (in cui viene ripreso tre volte mentre scorrono le immagini di Nana di profilo) fino ai titoli di coda, a fare da raccordo tra le immagini del corpo ormai inerme di Nana steso a terra. Oltre all’esplicita funzione di apertura e chiusura, il Leitmotiv torna in diverse scene del film soprattutto ad accompagnare quei momenti in cui Nana sta riflettendo sull’amore e si trova ad un punto di svolta nella propria esistenza: nel Tableau I durante il dialogo tra Nana e Paul ( a 00,04’,20”, poi ancora a 00,06’, 27”), nel Tableau V dopo la carrellata sui boulevard di Parigi ( a 00.24’,00”), Tableau X ( a , 1,02’,00”), nel Tableau XI durante il dialogo di Nana con il filosofo incontrato al Bistrot ( a 1,10’, 00”) , all’inizio del Tableau XII durante il dialogo di Nana con il suo nuovo giovane amante ( a 1, 15’,00 e a 1,18’,00”) e nell’ultima sequenza durante le immagini che mostrano la strada ancora vuota prima della sparatoria e quindi alla fine. Questo Leitmotiv, che è l’unico elemento musicale aggiunto in fase di post-produzione direttamente sulla colonna sonora, svolge una funzione di continuità e di unificazione nei confronti dei diversi Tableaux, altrimenti semplicemente giustapposti tra loro. Ha quindi un ruolo fondamentale nel rendere narrativa un’opera in cui , in assenza di questo, prevarrebbe sulla narratività il carattere sperimentale.

4.3 Il silenzio

Il ritmo di Vivre sa vie consiste nel fermarsi e ripartire in continuazione. Da qui deriva la suddivisione del film in vari Tableaux ( od episodi) separati, e di qui derivano anche le ripetute pause e riprese della musica nei titoli di testa accompagnate dalla brusca presentazione del volto di Nana, prima da sinistra, poi (senza transizione) di fronte, infine (ancora senza transizione) da destra.
Fa parte di questo continuo interrompere e riprendere ( riscontrabile anche nel particolare modo di montare utilizzato) anche l’utilizzo che il regista fa del silenzio.
In Vivre sa vie Godard fa un uso preciso e costante del silenzio: in particolare nel Tableau II, X e nella prima parte dell’episodio finale.
Nel Tableau II si tratta di un silenzio intrinseco alla citazione : si tratta infatti del momento in cui Nana si reca al cinema a vedere il film muto di Dreyer ( Giovanna d’Arco), film che diventa un vero e proprio inserto di film muto nel film. All’inizio del Tableau X, a 00, 57’,16”, durante il titolo introduttivo dell’episodio vi è un passaggio dallo Swing ( suonato dal juke-box) al silenzio, che si mantiene, come in una sorta di pausa espressiva, per quasi un minuto intero. La totale assenza di suoni persiste durante le prime inquadrature che mostrano Nana in figura intera mentre fuma una sigaretta appoggiata una parete di cartelloni pubblicitari e quando Nana ammicca ad un passante. A 00,58’, 03” tornano ad esserci rumori di strada e subito dopo entra in campo Yvette, che inizia a dialogare con Nana.
Infine durante l’ultimo episodio vi è forse l’uso più insistente e marcato del silenzio: l’intero dialogo tra Nana ed il suo giovane amante è silenzioso, mentre vediamo le loro parole proiettate come didascalia . Il regista opera una scelta di ribaltare le carte messe in gioco nel primo dialogo quando i due personaggi venivano introdotti prima a livello acustico: qui avviene il contrario, l’audio, cioè, viene immaginato a partire dagli elementi visibili sullo schermo.
Godard ristabilisce la dissociazione tra parola e immagine tipica del muto, ma a un nuovo livello. Vivre sa vie è palesemente composto di due tipi diversi di materiale, il visto e l’udito. Ma nel distinguere tra questi materiali, Godard si mostra molto ingegnoso, ai limiti del gioco. Una variante è lo stile da documentario televisivo o da cinéma-vérité dell’ottavo episodio, dove si è dapprima trasportati in una corsa in auto per le vie di Parigi e poi si vedono in un rapido montaggio le immagini di una dozzina di clienti e si ode una voce asciutta e priva di tono che espone rapidamente la routine, i rischi e la difficoltà spaventosa della professione della prostituta. Un’altra variante è nel dodicesimo episodio dove le gloriose banalità scambiate tra Nana e il suo giovane amante vengono proiettate sullo schermo in forma di didascalie. Il dialogo d’amore non viene “udito” per niente.
Le immagini paiono a volte arbitrarie, esprimendo esse una sorta di neutralità emozionale; altre volte rivelano un’intensa partecipazione. Come se Godard udisse, e guardasse poi ciò che ha udito.
In Vivre sa vie Godard porta questa tecnica – prima udire poi guardare – a nuovi livelli di complessità. Non c’è più un punto di vista unitario, sia esso la voce del protagonista (come in Le petit soldat) o un narratore nella posizione di Dio, ma una serie di documenti (testi, narrazioni, citazioni, estratti, brani più complessi) di vario tipo. Sono soprattutto parole, ma possono anche essere suoni o immagini senza parole .

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