Tempo e acqua. Edgar Reitz- Heimat II- Cap. X e XI

Irene Pozzi
HEIMAT II. ._ ‘Cronaca di una giovinezza’ di Edgar Reitz
Dai cap. X e XI
TEMPORALITA’ DELL’ACQUA:
la laguna come tapis-roulant / il lago come natura morta._

a) dal cap. X ‘LA FINE DEL FUTURO’
Venezia: la città e lo sguardo /la laguna come tapis roulant._

‘ In questa città l’occhio acquista un’autonomia simile a quella di una
lacrima. L’unica differenza è che non si stacca dal corpo, ma lo
subordina totalmente . Dopo un poco (.. ) il corpo comincia a
considerarsi semplicemente come un veicolo dell’occhio: quasi un
sottomarino rispetto al suo periscopio che ora si dilata e ora si contrae.
Certo ci sarebbero molti bersagli, ma tutti i colpi ricadono sul sottomarino
stesso: è il cuore che affonda, o la mente, se si vuole, ma l’occhio torna
sempre a galla.’
( I. Brodzkij)
– segmentazione per l’entrata a Venezia:
01.07’.41’’
-inq. Buio e sonoro in sottofondo-rumore di un motore-. M.d.p. dal basso
‘gira’ riprendendo frontalmente un taxiscafo che si tiene a sx del quadro.
A bordo solo Reinhard e lo scafista.
01.07’.46’’
-inq. Reinhard in mezzo primo piano ( a chiudere il quadro dal basso c’è
la testa del parabrezza dal taxiscafo)
01.07’.50’’
-soggettiva di Reinhard :dal basso su palazzi del canal Grande.
01.07’.55’’.
-mezzo primo piano di Rh.-sfondo:portici (luce/ombra)-breve taglio di
profilo a sx .-gira lo sguardo; sguardo lampo in camera.-Rh. Apre/chiude
la bocca.
01.08’.01’’.
-soggettiva dalla barca
01.08’.07’’
-inq primo piano di Rh. Negativo (sagoma su fondo chiaro).-passaggio in
zona d’ombra sotto il ponte.-esce figura di Rh. in mezzo busto.in luce. Rh,
da dietro (gira il collo per sguardo su ponte retrostante) [
01.08’.26’’.terra: da dietro un cancello m.d.p. segue entrata di Rh. in
“pensione Accademia”)]
Entriamo a Venezia uscendo da una zona d’ombra: sgusciamo fuori da
un ponte come pesci, trascinati dalla corrente che è un flusso, avvolti
da un silenzio in cui l’unica presenza sonora è il rumore del motore del
taxiscafo._ A bordo Reinhard , regista , affiancato dallo scafistapresenza-
corporea ( da notare anche se solo ‘ sagoma’ data la rarità
degli incontri in questa città) fa del suo occhio un pesce: lo fa nuotare,
oscillare, tuffarsi, ..
Lo scafo, intanto, è trasportato dall’acqua: il motore è fittizio, non
agisce: è ridotto al suo statuto sonoro. La laguna si mostra subito nella
sua natura di tapis-roulant. Agisce da veicolatrice fisica di un movimento
di mondo proprio della città nella sua verticalità onnicomprensiva degli
elementi acqua-terra-cielo ( e fuoco, ma nella sua faccia più fedda e
lunare). Venezia è mondo possibile che scorre : una delle tante sfere di
Fedora; è mondo fluido, che trasporta barche e passeggeri in un bagno
di luce ed ombra: ed è subito esplicita perché dal primo momento in cui
metti piede in questa città è chiaro che una delle più travolgenti attività
della laguna è generare chiaroscuri. Il gioco è altalenante, continuo:
passaggio a un regime indiscernibile di luce ed ombra che porta la vista
( non è il piede, a ben vedere, la parte del corpo che ti porta in giro in
questa città) all’impossibilità di definire con chiarezza la spazialità del
luogo. Gli oggetti , in questa città, spariscono e riappaiono senza dare il
tempo allo sguardo di deciderne, tra luce ed ombra, lo ‘status’ .
L’occhio, allora, cerca la sua giustificazione altrove , e la mente lo
soccorre, lasciandosi però ingannare dallo stesso tranello: se luce ed
ombra sono le due facce coalescenti della città cristallo che lo sguardo
è capace di cogliere, sogno e reale diventano i due regimi indiscernibili
del tuo stato mentale. E’ l’essenza dello sguardo – che non è segno ma
appartiene al regno della significanza- quella di dipendere da un
eccesso, di traboccare; e il suo essere inquieto, il suo cercare è così forte
da scardinare le frontiere tra attivo e passivo, da diventare “visione”
attuando in sé una sinestesia indivisoria di tutti i sensi. Lo sguardo, allora, ‘
sente’. E la parola ( poiché “espressione di un’avvenuta normalizzazione
dei rapporti segnici”) non puo’ dar voce alla potenza della tua pienezza
di visione ( nell’accezione occhio-mente) : Reinhard dopo la soggettiva
sui palazzi del Canal Grande, trattiene il suo tentativo di parola
trasferendolo in sguardo. Subito dopo siamo ‘a terra’ ( nella misura in cui
è possibile usare questa parola per Venezia..senza dimenticare -cioè -la
sua natura di città sospesa ), la m.d.p. spia da dietro le linee verticali del
cancello l’entrata di Reinhard alla ‘pensione Accademia’ :prima
etichetta connotativa della mappa/pesce della città.
“ Inanimati per natura, gli specchi delle camere d’albergo quella che ti
restituiscono non è la tua identità, ma la tua anonimità ; specialmente in
un luogo come questo. Perché qui tu sei l’ultima cosa che ti interessa
vedere(..) lo specchio assorbe il corpo che assorbe la città . Il risultato è,
ovviamente , una negazione reciproca. Un riflesso non puo’ badare a
uno specchio. La città è talmente narcisistica che trasforma la mente in
un’amalgama, alleggernedola del suo significato.”
(I.Brodskij)
Interno. Pensione Accademia. Reinhard esce ancora da una zona
d’ombra per entrare nella stanza. Passa in luce poi in ombra: dietro , il
suo riflesso allo specchio in fondo a sinistra.
Reinhard e il suo riflesso cercano un ‘altrove’. Reinhard diventa Narciso:
si perde di fronte all’impossibilità dell’identico nel riflesso che raddoppia ;
l’immagine doppia contraddice, condanna, interrompe la certezza del
suo Io frantumandolo in una miriade di Io-rapporto speculare col mondo.
La finestra inonda di luce la stanza e restituisce, nelle sue ante/vetro
laterali un secondo -qui doppio- riflesso . Riflesso che discende
direttamente dall’immagine acqua corrente ,che trascina e trasforma,
differendone le certezze , l’identità di Reinhard e la prolunga in
un’infedeltà a se stessa che si concreta nell’immagine riflessa ed ha la
sua proiezione diretta nel sogno. Reinhard accede a un sogno-mondo
non meno reale del suo recente vissuto durante la veglia. E’ sogno
diurno- sembra addirittura ‘sfori’ dal suo statuto legato al sonno perché il
sonoro comincia durante la veglia- e per questo ha l’intensità di
un’istantanea. Ma il suo carattere fondamentale è quello di circuitare
con l’immagine \ veglia. Nel sogno-spettacolo la luce dello spot
accompagna Triki al fondo di una scalinata dove l’aspettano il regista
con i suoi macchinari trucca-realtà. Ancora l’immagine innesca un
circuito cristallino in cui le due facce sogno\reale sono mantenute
insieme da un raccordo sonoro adescrittivo, che cuce insieme vegliasonno-
veglia. Raccordo flusso che accompagna Reinhard fuori dalla
pensione in una città in cui dopo la pioggia si moltiplicano i germi di
riflesso (pozzanghere\specchio) e rifluiscono nel riflesso dei palazzi dal
ponte. La M.d.p. scorre come acqua, anzi si fa acqua che scorre,ed
osserva Reinhard proprio come un’immagine riflessa che restituisca
ambiguamente lo sguardo al soggetto della sua riflessione. Reinhard
cammina attraverso una città deserta, entra a casa di Esther
immergendosi in un nuovo regime chiaroscurale: la luce investe il suo
corpo che passa da una stanza all’altra, da luce ad ombra, fino a
‘coprire la luce’ ad Esther, mentre lei lavora alla sua stampa-altra
generatice di riflesso.-.
Si è instaurata una matrioska di statuti opposti e compresenti che trova
risposta a livello diegetico nel ‘ doppio’ indistinguibile di narrato e
vissuto: Esther è raccontata e si racconta –come sceneggiatura- mentre
vive, Reinhard è colui che narra la storia di Esther, filtrata dalla sua
visione, ‘deformandola’,anzi, ‘rendendola falsa’ (perché è questa
l’accezione più intima del verbo ‘verfalchen’, la chi radice semantica e’
la stessa di ‘falsh’ =sbagliato , da cui deriva il sostantivo usato per
‘falsario’) e al contempo ‘scrive’ la sua nel presente della narrazione,
come fosse personaggio della sua sceneggiatura, come se la
sceneggiatura uscisse dal suo tempo per ‘ inglobare’ Reinhard nella
storia di Esther –di cui è parte dal momento in cui ha varcato la soglia
dello studio fotografico-.
Il battito insistente della macchina da scrivere esce allora dal suo status
descrittivo per invadere la città intera scandendo i movimenti per le calli
e rispondendo allo scatto meccanico della macchina fotografica di
Esther.
Nel dialogo tra Reinhard ed Esther la sceneggiatura è il mezzo di
comunicazione tra due mondi altrimenti paralleli, facenti parte di due
dimensioni temporali incapaci di toccarsi. Nell’immagine Esther usa il
copione come ‘tubo-tramite’ tra la sua voce e l’orecchio di Reinhard.
E’ un’altra faccia; un’altra dualità di due indiscernibili rifusa in unità.
Dualità propria dell’essenza di città -cartolina di Venezia , capace di
animarsi da un’immagine del ponte dei Sospiri ( che tra l’altro e’ in sé
gia’ un rimando poichè statuto attivo di una stampa appesa in camera
di Esther in cui il ponte è sagoma nera su fondo bianco) . Come veicolo
del cambiamento di stato alla bidimensionalità è usato il passaggio da
colore a bianco e nero che ci restituisce l’immagine di una città piatta ,
schiacciata su un solo piano. Nella sua natura di cartolina postale
Venezia appiattisce anche l’azione che diventa incapace di distinguersi
dall’elemento mobile della scena. L’azione concreta fa posto a una
situazione ottica e sonora che rimanda a un’onda: la percezione non si
prolunga più in azione, la città si confonde con quello che in lei fa scena
e i personaggi sono presi in situazioni che tracciano un cerchio incantato
intorno alla città. La città come sogno implicato si fa perno del cerchio.
La città sogno fagocita chi attraversa il suo labirinto di spazi concentrici.
Chi ci vive rimane incastrato nei suoi ritmi temporalmente dilatati, a
rilento, spazialmente microdettagliati perché coglibili e scarnificabili nella
loro percorribilità ottica dovuta alla sua dimensione ‘camminabile’ (o
viceversa, perché è l’occhio qui a prendere il posto degli arti motòri):
Reinhard ne avverte la natura incantatrice deve “tornare a Monaco,
vedere quello che veramente è reale” se vuole realizzare il suo film
perché “forse non esiste neanche la citta’”. Infatti è il movimento di
mondo, più che la città, quello che qui è tangibile: addirittura la forma
piu’ viscerale del desiderio del soggetto non trova qui una sua attualità
in un’immagine ma viene prolungato in un ‘altrove’ ; in un’immagine
flusso che realizza il desiderio in un amplesso figurato: l’amplesso scorre
come passaggio sotto un ponte caleidoscopio di riflessi .
La città è un cristallo che non ci permette nemmeno di delinearne una
distinzione tra elementi: c’è sempre la possibilità che da un momento
all’altro vengano fusi insieme acqua,aria e terra, che il lucido diventi
opaco, che uno degli elementi invada tutti gli altri avvolgendoli nel suo
stato. Ogni mattina il tuo occhio si scontra con la possibilità quotidiana
della nebbia che lì ha una consistenza pervasiva di natura diversa
rispetto a quella che puoi trovare altrove e la causa diretta è il suo essere
in sé ambiguamente aria ed acqua: l’umidità si fa spazio . Reinhard
viene accompagnato dallo stato lucido dell’immagine a quello opaco
dal battito dei tasti della sua macchina da scrivere e ne esce con il
passaggio al battere delle campane ancora onirico ma legato alla
realtà di vita della città veneziana. Le mille facce di questa Fedora reale
trovano una loro unità incantata, un loro ‘germe’ cristallino che non è un
punto fermo, ma un movimento continuo: lo scorrere perpetuo della
città . Movimento cifra ddel tempo, perché su tutto qui daomina una
temporalità così forte da essere in grado di trascinarti in un altro
‘quando’: in un’altra dimensione cronica.L’immagine-flusso ti trascina
,nella sua lentezza, all’interno del groviglio labirintico delle sue calli e
imbroglia i tuoi pensieri dando loro l’idea di scorrere ma chiudendoli
sempre, prima che prendano il volo, con un orizzonte chiuso.. Il flusso
trova l’apice della sua forza nell’eventualità dell’acqua alta che rende
lo spazio un riflesso e la terra sommersa: è il tapis-roulant che esce dal
suo binario e, aiutato dal cielo che, per simpatia, dà il suo contributo
acquatico in forma di pioggia, trasporta Reinhard fuori dalla città verso
una sommersione totale- quella nel lago Ammersee-, o piuttosto ‘porta la
città ad abbandonare la sua pupilla’.
‘Poiché siamo esseri finiti, una partenza da questa città sembra ogni
volta definitiva; lasciarla è un lasciarla per sempre. Perché con la
partenza l’occhio viene esiliato nelle provincie degli altri sensi: nel
migliore dei casi , nelle crepe e nei crepacci del cervello. Perché
l’occhio non si identifica col corpo ma con l’oggetto dela propria
attenzione. E per l’occhio la partenza è un processo speciale, legato a
ragioni puramente ottiche: non è il corpo a lasciare la città, è la città ad
abbandonare la pupilla.’
( I.Brodskij)

b) da Cap. X- Il lago come natura morta
-segmentazione per la prima apparizione del lago:

[Monaco-.Interno bar. Primo piano Reinhard.-]
Raccordo sonoro (sonoro del sogno)
02.01
-inq. Da dietro la st accionata m.d.p.riprende Rob avvicinarsi a riva.-
-inq.Rob di spalle guarda il lago. C’è una barca.-primo piano dal basso
di Rob.
-inq. Lago con al centro barca che ondeggia.-Abordo Reinhard legge .
Qui Reitz ci mette subito di fronte alla datità di uno statuto acquatico
diverso, la cui caratteristica prima è la staticità. La barca che ondeggia ,
nel lago, è il perno di un’acqua circoscritta, chiusa, fortemente legata
alla terra; la prima apparizione del lago non ne rispetta la natura
acquatica: il lago è vissuto da riva, nella sua dimensione terrestre,da una
visione tele-scopica. Gli attori della speculazione- Volker ed Hermannvedono
la barca vuota al centro del lago e si chiedono se si sia staccata
da riva; poi , qualche inquadratura dopo, la gente descrive una lineatramite
la passerella- che va verso il centro del lago .Piano piano la
dimensione –terra si compenetra con quella acquatica .Quando la
guardia costiera incontra Rob vi è la prima forma di contatto tra i due
‘stati’. Il lago allora ci compare nella sua accezione di spazio vuoto la cui
assenza di contenuto è riempita da un oggetto che lo fa diventare
natura morta. La prospettiva dall’alto della barca svuotata funziona da
traccia di una presenza mancante, è spia del residuo di azione umana
che il lago ha sommerso.La barca vuota è l’oggetto \tempo :
‘frammento di tempo allo stato puro’ che trattiene sotto di sé la morte di
Reinhard la cui azione sul presente della narrazione era impossibile; la cui
vita era intollerabile –frenata dalla visione troppo densa che aveva
avuto in Messico.- . Allora la sua azione sul presente trasforma la sua vita
di narratore di storie in Storia stessa. Omero diventa Ulisse : Reinhard
diventa il suo copione e , prima della metamorfosi completa , appare
nella sua ultima manifestazione energetica in forma di φονη’ nella lettura
della cartolina che arriva sul tavolo di Esther , in una Venezia sott’acqua
che sembra trattenere ancora il tempo della sua partenza.
02.09.40
Lago: inq. Fissa: due barche a motore navigano attirno alla barca vuota.
02.12.10
una della due barche esce dal bordo sx dell’inquadratura.
Ecco che la barca si svela come perno dell’ambiente. Il lago ha
assorbito l’attualità di Reinhard: lo specchio d’acqua è opaco, trattiene
ogni immagine possibile: non c’è più collegamento diretto con il
presente della diegesi: il tempo si è fermato sotto il lago; il fondo del lago
crea un circuito spiralico in superficie che rimanda allo sguardo
attualizzante (e alla temporalità presente) soltanto ciò che è a galla. Il
tempo rimasto a galla diventa ‘doppio, in qualche modo
autoreferenziale ,luogo in cui la superficie del lago assume una funzione
simile a quella della scatola che contiene il gatto del paradosso di
Schrodiger_. Il fondo del lago è il luogo in cui l’evento (-morte-) come
visto \ narrato , (come di fatto evento tutto annullato sul lato della
descrivibilità del destino d’esistenza delle sue quantità di moto) “può
esserci, ma può esserci solo come atto d’annullamento della funzione
d’onda compiuto dall’atto osservativo -narrativo- descrittivo.”
La morte di Reinhard allora esiste proprio in quanto è assenza. Esiste
nella misura in cui la superficie ci impedisce di vederla e di narrarla.
Siamo di fronte ad un’assenza che genera presenza: a un mondo
attuale possibile soltanto se visto da un narratore che possa raccontarne
l’esistenza e che , altrimenti, resterà in potenza, virtuale, come
compresenza dei due statuti inconciliabili vita\ morte depositato sul
fondo. E’ nello spazio vuoto dell’intervallo tra la fine del X e l’inizio dell’XI
capitolo , che Reinhard si deposita in fondo al lago .E la sua temporalità
mai attuata provocherà un’effettiva deviazione dei sentieri percorsi dai
personaggi per cui sarà germe generatore di una presenza
‘condizionata’ . Anche se il suo cadavere non esiste nel presente della
diegesi, il lago l’ha trasferito in un altrove temporale che emerge nella
sua doppia faccia: ATTIVA (il residuo: Reinh. Come copione: racconto
narrato da sé); PASSIVA ( la leggenda: cio’ che si racconta gli sia
accaduto) . L’impossibilità ad agire nella vita da parte di Reinhard
influisce sul presente: portata al suo estremo lascia spazio,
indirettamente, al suo opposto.
Il tempo rimasto a galla diventa circuito narcisistico attraverso il riflesso
che rimanda in superficie soltanto ciò che è compreso nella zona
emersa, il circuito cristallino agisce come matrice di biforcazione di tempi
che dà piega al mondo: attivamente attualizzandolo in uno degli infiniti
mondi possibili\ retroattivamente “riavvolgendo” la vita di Reinhard “
compiendone un fulmineo montaggio, scegliendone i momenti
significativi e mettendoli in sucessione”: dandole -cioè- un ‘senso’.

c) da Cap XI ‘L’epoca del silenzio’
il lago come stratificazione di tempi

-Segmentazione per il primo attraversamento del lago
-inq. Primo piano di una staccionata: da dietro arrivano –frontalmente-
Rob e il padre. Aprono la staccionata poi di spalle scavalcano un
muretto._
-voce f.c. [Rob racconta che la sua vita è cambiata da quando è morto
Reinhard]
-inq. Rob e il padre caricano fucili ed altri oggetti in barca poi salgono a
bordo.
-inq. Dal basso: terrazza da cui si sporge la madre di Rob.
-inq. Barca ripresa su lato dx poi partenza da dietro.
-voce f,c. [Rob racconta che la morte di Reinh. è diventata leggenda]
-inq. Cambia angolatura:barca passa dietro gli alberi: siamo sull’altra
sponda: barca frontale attracca.
-voce f.c [Rob racconta che per Reinh. ‘Le cose più essenziali della vita
sono incoglibili da una cinepresa’]
-attracco
-Segmentazione per il secondo attraversamento del lago
-inq.Rob da lato poi di spalle corre verso riva.
-inq. A riva Esther vicino alla barca su cui stava per salire
dialogo in c/cc tra Esther e Rob-[Rob apprende che Esther è l’amica
veneziana di Reinh.]
-inq, lago con rami che emergono
-inq, Rob carica la preda e il resto sulla barca
-stacca la barca
-inq. Figura intera di Esther
– inq. Partenza barca
-primo piano di Esther
-attraversamento del lago, passaggio della barca dietro i rami verso la
sponda di partenza
-voce f.c [Rob dice che ‘così finiva la leggenda che voleva Reinhard a
Venezia’.]
La morte di Reinhard si è depositata sul fondo: l’evento occultato sotto
la pellicola lucida del lago ha sconvolto i rapporti di tempo ed affermato
il tempo come ‘ tempo delle metamorfosi’ dove convivono le diverse
estasi temporali.Il lago si fa spazio vuoto, privato dell’oggetto
compositivo che lo riempiva, è cronotopo da sezionare verticalmente,
poiché la sua staticità ne rende impossibile un flusso orizzontale come
quello lagunare, e lo sostituisce con un movimento ascensionale. Il luogo
diaframmatico d’incontro tra i diversi strati è la superficie navigabile che
raccoglie –distribuendoli- gli impulsi della falda sottostante. Rob, durante
il primo attraversamento sente la pressione della morte di Reinhard. La
sua voce f.c. giustifica l’incoglibilità dell’evento riferendo il pensiero di
Reinhard secondo cui :“ le cose più essenziali della vita sfuggono
all’ottica di una cinepresa: l’amore, cio’ che la gente pensa o sente, la
morte”. La sua morte quidiventa prova della sua teoria , . L’evento
sommerso preme dal fondo senza però riuscire ad estendere la sua
pressione oltre il raggio della superficie e il confine del lago. Durante il
secondo attraversamento, poi, verticalmente, tre temporalità ne
subiscono la pressione veicolate, anzi, incarnate in tre corpi:
1-Rob: temporalità biforcatasi direttamente da quella di Reinhard ma
che mantiene in sé il vissuto del lago : in qualche modo ha la funzione di
raccordare diversi strati \ tempo: il suo vissuto d’ infanzia -il vissuto di
Reinhard – l’attualità del lago- la leggenda.
2-il padre di Rob: è l’incarnazione del passato del lago e di Rob, è la
temporalità che affonda la sua radice più in profondità nell’ambiente, di
cui porta con sé fisicamente una parte -la preda- durante
l’attraversamento.
3-Esther: è il tempo della memoria come ‘condotta di racconto’, come
promessa da mantenere a se stessa: la sua ossessione di ricercare la sua
origine che non le è data sapere si ripercuote in ogni suo tentativo di
azione, è l’incapacità dell’oblio che la obbliga al bisogno viscerale di
testimoniare ogni evento (anche qui, quando l’evento è in assenza).
La verticalità di questa stratificazione è cucita insieme da un filo capace
di trasformare l’immagine visiva in immagine archeologica: la voce. La
voce fuori campo di Rob è più di un monologo interiore:” il parlato ci fa
accedere a una nuova leggibilità delle cose e diventa sezione
archeologica che deve essere letta ” perché il suo è flusso di pensieri
che si fa atto di parola; e la sua necessità è dettata dal sotterraneo
premere-risucchiare del residuo sul fondo. L’atto di parola affonda e
procede in moto ascensionale verso il cielo, attraversando\ svelando
tutti gli strati di temporalità del lago.
Il lago è perno di un luogo in cui l’acqua, chiusa, è limitata nello scorrere
ed allo stesso tempo mantiene in sè una stratificazione di correnti che
trascinano verso il basso. E’ la sommersione del desiderio di vita di
Reinhard che funziona da rizoma, il cui ramo emerso produce una
deviazione del tempo. Siamo di fronte a una piega , generata dallo
spostamento del desiderio da un piano a un altro ( in questo caso,
‘fisico’ morte/vita;’spaziale’ fondo/superficie;’temporale’
assente/presente): ancora un circuito che ne genera altri, all’infinito, e
che non finisce mai di espletare le sue potenzialità di germe, perché
quella di Reinhard non è una ‘fine’ nella sua accezione totalizzante, ma
una fine che genera inizio, continuando ad essere memoria per il
presente che guarda il passato: promessa insistente come potenzialità
sempre rimandata sul presente che passa.

TEMPO E ACQUA

Per parlare di temporalità dell’acqua biognerebbe prescindere da uno
dei meccanismi ‘automatici’ della coscienza: l’ “abitudine a pensare
nello spazio e in termini di spazio” che ci porta a figurare la “coscienza
come luogo popolato di piccoli simulacri: le immagini”. Questo processo
ci porta ad esteriorizzare il nostro tempo-vissuto, esperito in un’immagine
spazializzata ( che è poi quell’operazione di distinzione quantitativa in
istanti differenti che Bergson attribuisce al ‘tempo della scienza’). Ma
esistono momenti che sono solo in un quando e non in un dove, quindi
non sono spazializzabili. E se essere nello spazio è essere nel tempo, non
necessariamente essere nel tempo è essere nello spazio. Il sogno, ad
esempio, è un quando ; è vicino alla dimensione pura del tempo:
“ si potrebbe dire che se vivessimo quietemente di fronte a determinate
cose e più rapidamente di fronte ad altre non ci sarebbe per noi nulla di
sussistente, ma tutto accadrebbe davanti ai nostri occhi, tutto ci
capiterebbe ( anche nel sogno il ritmo di percezione ed esperienza
vissuta è così alterato che tutto quel che ci capita-anche ciò che in
apparenza è più normale- ci riguarda)”. Il sogno si avvicina alla
coscienza del tempo puro: non è, capita, e soprattutto è la fruizione di
un irreale che ha, nel suo presente, tutti i caratteri di realtà. E’ un
rappresenare nel senso di rendere presente qualcosa di cui fruiamo
come esperienza vissuta. Ne ‘Lo yoga del sogno e la pratica della luce
naturale’ Namkaj Norbu dice che la sfera che noi, nella nostra visione
dualistica, attribuiamo al sogno andrebbe vissuta con la coscienza
consapevole dell’esperito diurno di vita, o viceversa che l’esperito
andrebbe vissuto con la coscienza del sogno. Sogno e reale da vivere
come continuum. Senza stacco.
Assistere all’immagine cinematografica potrebbe allora diventare un
meccanismo simile a quello del sogno se vissuto come esperienza. In
effetti, viviamo nella nostra coscienza, o viviamo la nostra coscienza
quindi quello che ci rappresentiamo, cioè quello che rendiamo presente
nel nostro cervello, è quello che viviamo. Questo non per arrivare a dire
che viviamo nel nostro cervello ma, piuttosto, che quello di cui fruiamo e
che ‘filtriamo’ tramite il meccanismo percettivo nella nostra coscienza , è
qualcosa che ci capita. E l’immagine allora agisce da ponte tra
dimensioni di tempo che di solito concepiamo come distinte “ immagine
è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’ora in una
costellazione. In altre parole immagine è dialettica nell’immobilità.
Poiché, mentre la relazione del presente con il passato è puramente
temporale, continua, la relazione tra ciò che è stato e l’ora è dialettica:
non un decorso, ma un’immagine discontinua, a salti. “E’ quello che
Bergson chiama tempo della vita, che consta di momenti irripetibili in cui
ogni ricerca del ‘Tempo perduto’ è destinata a ricreare avvenimenti o a
fallire. Tempo che ha la sua immagine in un gomitolo di filo che muta
continuamente e cresce in se stesso: in contrasto con la spazializzazione
del tempo vissuto della fisica. L’immagine, allora, come istante che
appare “là dove il pensiero si arresta, in una costellazione satura di
tensioni”, ed è “cesura nel movimento di pensiero”. Fruire dell’immagine
dell’acqua nel suo fluire o nel suo stagnare, allora, è vivere il tempo.
Reitz ci veicola il tempo puro nell’immagine dell’acqua:
a Venezia nel contrasto tra una città onirica e al contempo storica,
quindi immobile , impossibile da cambiare nei suoi connotati spaziali, e il
flusso dell’acqua della laguna che è la forma del movimento come cifra
del tempo.
al lago in un ambiente d’intorno che sprofonda, attratto, nella
profondità dell’acqua ferma, capace di trattenere e restituire nel suo
movimento verticale diverse dimensioni temporali.
Accedere alla dimensione pura del tempo è possibile allora vivendo le
immagini e”vivendo il mondo come sogni senza sognatore”; come
momento di tempo puro che capita e va colto nell’ immanenza illusoria
che la coscienza attribuisce agli oggetti nel momento in cui se li
rappresenta in immagini: come sogno che si sogna.

Note
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La città e il desiderio.
Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo
con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sferasi
vede una città azzurra che è il modello di un’altra Fedora. Sono le forme
che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o
per un’altra, diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno,
guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne una
città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora
non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo
possibile futuro ormai era solo un giocattolo di vetro. Fedora ha adesso
nel palazzo delle sfere il suo museo: ogni abitante lo visita, sceglie la città
che corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando di
specchiarsi nella peschiera delle meduse che doveva raccogliere le
acque del canale (se non fosse stato prosciugato), di percorrere
dall’alto del baldacchino il viale riservato agli elefanti ( ora banditi dalla
città) , di scivolare lungo la spirale del minareto a chiocciola ( che non
trovò più la base su cui sorgere). Nella mappa del tuo impero, o grande
Kan, devono trovare posto sia la grande Fedora di pietra, sia le piccole
Fedore nelle sfere di vetro. Non perché tutte ugualmente reali, ma
perché tutte solo presunte.L’una racchiude ciò che è accettato come
necessari mentre non lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come
possibile e un minuto dopo non lo è più.
( Italo Calvino; Fedora ne ‘Le
città invisibili’)
R.Barthes
M.Grande ( lib. da‘Il circuito barocco’)
“ Nell’antica Grecia venivano indicati dei luoghi attraverso i quali si
scendeva agl’inferi. Anche la nostra esistenza desta è una regione da
cui in punti nascosti si discende agli inferi, ricca di luoghi per nulla
appariscenti ove sfociano i sogni. Di giorno vi passiamo davanti incuranti,
ma non appena arriva il sonno, torniamo indietro a tastarli con mossa
veloce, perdendoci in questi oscuri cunicoli. Gli edifici della città sono un
labirinto che alla luce del giorno somiglia alla coscienza; di giorno i
‘passages’( sono queste le gallerie che conducono alla loro esistenza
dimenticata) sfociano inavvertiti nelle strade. Ma di notte il loro buio
compatto emerge spaventoso fra le masse di cose, ..” (W. Benjamin)
Gilles Deleuze
Giovanni Morelli
L’archetipo di questo meccanismo di temporalità discontinua
‘costruttrice’ è rintracciabile nella Genesi 1.31. in cui l’eterno crea una
situazione concettualmente vertiginosa: la creazione sembra accadere
in due tempi: sia nel sesto che nel settimo giorno. Il sabato sarebbe
tempo assente della creazione finita. La creazione si compie veramente
quando viene creato un altro nulla ancora che non è affatto il nulla della
mancanza ma una cessazione gravida di tempo passato che crea il
presente narrabile nel presente inenarrabile della narrazione. E’ la
creazione di un punto di riferimento temporale che fonda la lontananza
fra un evento e l’attesa di un altro evento come spazio adibito alla
relazione tra memoria ed oblìo: L’uomo , allora, sarebbe pezzo di
creatura manchevole, semilavorata, aperta, interminata, coatta a
comporre la sua esistenza in serie di azioni non finite, ma determinata a
finire essa stessa. (lib. da G. Morelli)
(Pier Paolo Pasolini)
L’ambiguità del tempo, qui, permette di dire che l’immagine
fascinatrice dell’esperienza è a un certo momento presente, quando
questa presenza non appartiene a nessun presente, distrugge,anzi,il
presente in cui sembra introdursi. E’ la presenza di un canto ‘a venire’ :
l’aprirsi del movimento all’infinito di un incontro che è distanza
immaginaria in cui l’assenza si realizza e al termine della quale
l’accaduto comincia appena ad accadere. Ancora a venire è già
passato: presente in un principio tanto repentino da mozzare il fiato
dispiegandosi come ritorno e ricominciamento eterno: ecco l’evento
che sconvolge i rapporti di tempo ed afferma il tempo come tempo
dellle metamorfosi, dove coincidono le diverse estasi temporali. (lib. da
M. Blanchot , saggio su ‘L’incontro con l’immaginario’)
Gilles Deleuze
J.P.Sartre
W.Benjamin citando Bergson in ‘Materia e Memoria’.
W.Benjamin
W.Benjamin
..se non fosse per il suo lento sprofondare, di anno in anno , che però è
un movimento capace di mantenerla uguale a se stessa fin quando
diventerà tutt’uno con l’acqua.
J.L.Borges in “Realismo fantastico”
Bibliografia:
-in apertura e chiusura : L. Carrol “ Attraverso lo specchio e quello che
Alice vi trovò”
-I. Brodskji “Fondamenta degli incurabili”
-Gilles Deleuze “Pour parler, 1972 / 1990”
-Gilles Deleuze “L’image-temp”
-M. Grande “Il circuito barocco”
-I. Calvino “Le città invisibili”
-autori vari: “Bachtin teorico del dialogo “ (raccolta di saggi)
-P. P.Pasolini “Empirismo eretico”
-autori vari “ Sul racconto cinematografico 2” (dai quaderni monografici
di Circuitocinema, Venezia; a cura di F.Borin e R.Ellero) , saggio di G.
Morelli “ Sul pas-saccadè: né nuvole né orologi”
-W.Benjamin “Das Passagen-Werk’
-F.Nietzsche “Sull’utilità e il danno della storia nella vita” (‘Considerazioni
inattuali II’)
-J.P.Sartre “Immagine e coscienza”

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